Stage? No, Grazie.

Io non lavoro gratis, e tu?

Qualche riflessione, quasi un manifesto

È un pezzo che non crediamo alle favole. All’inizio di un’attività lavorativa è normale ed anche fisiologico accettare di fare dei “lavoretti”, pagati magari poco. Ma un “lavoretto” deve durare poco, non impegnare per l’intera giornata lavorativa, deve consentire di fare altro, di studiare, per esempio. Un “lavoretto” non è un lavoro, ed anche il “lavoretto”, se fornisce una utilità a chi lo riceve, deve avere un giusto compenso non “irrisorio”, una giornata di lavoro non può mai valere solo “un buono pasto”.

 

Consideriamo irrinunciabile,  nei rapporti di lavoro e professionali,  il rispetto reciproco.

Scrivere software non è una attività manuale ripetitiva, alcuni di noi si definiscono pigiatasti o cliccatori di mouse, ma solo per scherzo, con affetto, allo stesso modo in cui la comunità Italiana in America si autodefinisce, con altrettanto affetto, “spaghetti benders”, facendo proprio quello che i non Italiani intendevano essere un “racial slur”, un insulto.

 

Spesso quello che noi autori digitali facciamo richiede competenze interdisciplinari: grafica, matematica, musica, fisica.  Questa è cosa non strana per degli artisti o “artigiani”, che spesso assemblano manufatti sulla linea di confine tra artigianato, arte e scienza, ma il punto è che le nostre competenze vengono date per scontate e un po’ surclassate, perchè al di là dei proclami,  il settore digitale non viene considerato trainante per l’economia.

Possiamo percepire che in Italia si è scelto di  investire, solo su produzione di cibo, o su beni di largo consumo a bassissima valenza tecnologica: scarpe, vestiti e borsette. Ciò significa relegare questo paese ad un futuro di deindustrializzazione selvaggia, di colonia culturale, in cui il nostro ruolo si avvicina pericolosamente ad essere solo un serbatoio di manodopera non specializzata e a buon mercato, di cui ci sarà sempre meno bisogno.    Stiamo preparando un futuro che nessuno desidera per le prossime generazioni. Non vogliamo diventare sempre più marginali.

 

L’outsourcing informatico é la fiera della mediocrità e anche peggio.   Nel commercio, nelle banche, quasi tutti i decisori aziendali hanno seguito il pifferaio magico e si sono lasciati convincere che l’Information Technology non fosse un processo core, “strategico”, ma potesse venire dato in outsourcing, in quanto non importante, ed affidato a chiunque, a patto che costasse poco!   Tale concezione è erroneamente definita “fordista”, dato che Ford rispettava i propri operai, ed aveva capito che se voleva vendere milioni di automobili, chi le fabbricava doveva poterle comprare.

Il risultato di questa logica è sotto gli occhi di tutti.  Avete presente la delocalizzazione dei telefonici e dei loro “splendidi” call centers?

Lo sviluppo di competenze informatiche all’interno di un’azienda è una scelta vincente. Vi siete accorti che Amazon, un libraio su Internet, è diventato non solo il principale fornitore di libri sul mercato mondiale, ma anche il principale fornitore di tecnologie cloud del pianeta, al punto che circa il 90% della potenza di calcolo su cloud globalmente disponibili al mondo fa capo non come si potrebbe pensare, a Google, ma ad Amazon Web Services? Amazon è alla frontiera ormai sia sulla robotica che sull’intelligenza artificiale, pardon, “big data & machine learning”, altro che fare solo “ecommerce” di libri. E come ha fatto? Ha sviluppato competenze informatiche al suo interno.  Amazon deve il proprio successo all’aver capito che per prosperare, la tecnologia e la cultura che si utilizza nei propri processi digitali non è per niente un dettaglio secondario,un costo da ridurre.

Non che Amazon sia esente da polemiche, naturalmente, ma, polemiche a parte, Amazon innova, alla grande.

Anche la stessa Hollywood, di fatto una delle principali industrie di export americana, ha un mercato che è stato superato dalle vendite dei videogiochi. Tecnologia e creatività e quel che nasce quando queste componenti si incontrano, e vengono valorizzate, sono assolutamente fondamentali e strategici. Dove lo capiscono, si creano comparti industriali che muovono miliardi. E per la creatività o un progetto, non ci sarebbe budget? Non è inusuale da noi, per un creativo, un informatico, un grafico, sentire sminuire il proprio lavoro dalla pletora di  clienti babbani, nuovi barbari, che sostengono che l’unica cosa che conta è quanto spendono e non ci sono mai soldi? Spilorci involuti !

Cosa succederà a costoro, alle nostre banche che investono il meno possibile in software, con metodi body rental che altro non sono che l’applicazione del modello  di caporalato della raccolta dei  pomodori?

Volete scommettere che la prossima banca destinata a diventare l’equivalente di quello che è Amazon per i libri nel mondo occidentale, sarà una banca online con PROCESSI ed Information Technology di assoluta eccellenza, di livello planetario? Scommettiamo che non sarà una banca italiana?

 

L’intero settore delle start-up in Italia vale circa un decimo, scarso, di quello della Francia, che pure è un paese assai simile al nostro, da un punto di vista di risorse e di economia.  Abbiamo una economia stagnante, dalla liquidità irrisoria.

 

Sono circa 15 anni che l’Italia non registra alcun aumento di produttività, evidentemente la flessibilità del lavoro è stata un clamoroso fallimento. Le startup di successo, non appena hanno successo, si trasferiscono sempre all’estero. È inevitabile che sia così, finché la politica industriale, economica e fiscale di questo paese non diventerà vagamente più sensata e responsabile.

 

Cambiare in meglio le cose è utile per tutti, ed è possibile che si riesca a cambiare qualcosa diffondendo valori e cultura, fornendo esempi concreti, facendo, opponendosi a mode economiche insensate, come il mito dell’austerità economica per favorire la ripresa.

 

Creativi digitali, autori di software, volete fare curriculum? Non fatevi rubare il futuro, venite da noi e facciamo concretamente insieme qualcosa. Condividiamo  le nostre esperienze,  mettendo insieme risorse,  creatività e cultura, possiamo favorire la creazione di rapporti, opportunità, da cui possano trarre vantaggio tutti i nostri soci, e di riflesso, speriamo, anche questo paese.

 

Come associazione culturale  agiamo  sulle leve che possiamo controllare, che non sono politiche, ma culturali.

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